3
Giugno 2005
Natural
City - Recensione
Natural
City è stato (ingenerosamente) presentato
come il Blade Runner coreano. Ingenerosamente perchè
tale definizione da una parte ne svilisce l'originalità e
dall'altra l'ha reso vittima di feroci critiche di chi ama la pellicola
di Ridley Scott e
ne comprende a pieno le valenze e il peso (che restano per il momento
irraggiungibili). E' vero che Natural City deve molto al capolavoro
tratto dall'opera di Philip K. Dick,
ma non si tratta di plagio, bensì dell'uso di una stessa
ambientazione, di uno stesso oscuro mondo immaginario, in una fredda
e piovosa città del futuro dove uomini e cyborg si muovono
fianco a fianco indistinguibili gli uni dagli altri.
Siamo
nel 2080, in uno scenario post-nucleare R è un poliziotto
che fa parte di una squadra speciale che ha come compito quello
di eliminare i cyborg diventati pericolosi. Il problema è
che R è innamorato di Rya un cyborg che sta per finire il
suo tempo di vita. R vuole salvarla, ma per farlo deve affidarsi
all'aiuto del viscido dottor Gyro mettendosi contro il suo capitano,
l'irreprensibile e nobile Noma. Presto i due uomini si troveranno
contro Cypher un pericoloso cyborg da combattimento deciso a trovare
il modo di allungare la sua esistenza. Questo scontro coinvolgerà
anche l'inconsapevole Cyon una ragazza di strada che si troverà
contesa sia da Cypher che vuole il suo DNA sia da R che vede in
lei la salvezza per la sua Rya.
Grande
sforzo economico è stato fatto per questo Natural City con
l'intento di creare un'opera a livello dei kolossal occidentali.
Il regista Byung-chun Min
ha richiesto un ampio uso della computer grafica e un massiccio
lavoro di digitalizzazione post-produzione che hanno contribuito
a creare un'ambientazione di sicuro impatto visivo. La città
fredda, tecnologica, piovosa è una specie di isola circondata
dalle macerie post-belliche, residuo di un mondo diverso, più
vivo (più colorato sicuramente), dove gli uomini sono gusci
vuoti che sognano paradisiaci mondi lontani o l'amore eterno con
creature che hanno una data di scadenza. L'alternanza di colore
e toni di grigio ci aiuta ad entrare in questo mondo immaginario
e a sentire tutta l'oppressione di una società metallica.
La stessa meticolosità purtroppo non è usata nella
caratterizzazione dei personaggi: troppo stereotipato il protagonista,
troppo vuoto e semplicistico Cypher fermamente legato al ruolo di
cattivo classico privo di sentimenti o motivazioni.
Un
po' Matrix (nei combattimenti), molto Blade Runner, Natural City
è un prodotto godibile che trova la sua dimensione nella
propria filosofia del rapporto tra uomo e macchina, dell'egoismo
insito nell'animo umano, dell'amore che di fronte all'ineluttabilità
della morte può continuare a vivere solo nel ricordo. Triste
quadro di persone sole che si legano al sogno della nascita di un
fiore virtuale (perchè di vivi non ce ne sono più)
o alla speranza di poter fuggire verso un mondo di rinascita (che
piano piano però sembra allontanarsi inesorabilmente). Ennesimo
esempio di come il cinema coreano stia facendo passi da gigante
raggiungendo una visibilità preclusa a tanti cineasti nostrani
che forse avrebbero qualcosa da imparare invece che restare perennemente
intrappolati tra Muccino e Vanzina.
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Autore: Pisq - commenta
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